
Questo Buio Feroce
Questo Buio Feroce emerge dall’incontro di due mondi artisticamente distanti e al contempo intrecciati: quello di Lino Testa e quello di an.na.re_. La compagnia, come un crocevia di visioni, si presenta come uno spazio dove la sperimentazione e la riflessione si fondono in un unico respiro creativo. Qui, la pratica artistica e artigianale non è un semplice riflesso delle norme, di qualsiasi tipo esse siano, ma un’intima interrogazione delle stesse, un dialogo e una ricerca che si avventurano nelle pieghe più elusive dell’espressività umana.
Lo sguardo di Questo Buio Feroce si rivolge al confine tra l’ombra e la grazia, attraverso pratiche teatrali, musicali, narrative e poetiche. Ogni supporto, ogni piano di lavoro, diventa un mezzo per far emergere intuizioni latenti, in un dialogo incessante tra rigore e libertà, tra struttura e caos. In questo delicato equilibrio, il dolore e le difficoltà dell'esperienza umana non sono semplici ostacoli, ma piuttosto strumenti essenziali per una comprensione più profonda e rivelatrice della realtà.
La compagnia, però, non si limita a specchiare la realtà, mira piuttosto a disvelarne dimensioni inaspettate, e questo attraverso la ricerca di un’armonia tra approcci rigorosi e libertà espressiva, sondando i confini e le potenzialità dei lessici e delle sintassi adottati di volta in volta, e con ciò invitando il pubblico a confrontarsi con l'esperienza spettatoriale, prima ancora che con l'opera d'arte.
Nelle pratiche teatrali, l'estetica della compagnia ricerca la pulizia del gesto e la chiarezza dell'espressione corporea. Questo approccio riflette una visione in cui percezione e azione sono intessuti nella trama della realtà. Le performance si progettano per essere sensorialmente e emotivamente significanti, eliminando il superfluo per esaltare l'essenza del messaggio espressivo. Nelle pratiche musicali e potiche, Questo Buio Feroce intreccia il rigore compositivo del serialismo con la libertà dell’improvvisazione radicale. Le tecniche adottate riflettono una continua reinvenzione, una manipolazione originale dei materiali esistenti, dando vita a un linguaggio artistico forse balbettante, ma in costante ricerca del proprio timbro.
In definitiva, Questo Buio Feroce non è solo un'eco di realtà, ma si propone come un punto d'incontro per chi desidera confrontarsi con le dimensioni più intime e insolite dell’esperienza umana attraverso l’arte.
​



Lino Testa
Lino Testa è un artista in perenne dialogo tra rigore e libertà, un performer, compositore e drammaturgo la cui ricerca si muove sui confini tra ordine e istinto. La sua pratica si nutre di una fusione ricercata tra tecniche strutturate e impulsi improvvisativi, creando uno spazio in cui è possibile strutturare spazi, e con questo, spazi di libertà.
La sua avventura musicale inizia al Conservatorio "G. Braga" di Teramo, sotto la guida di Paolo Giuseppe Oreglia, dove il violino diventa il suo primo strumento di esplorazione. Qui, Toni Fidanza lo introduce al jazz, seminando i primi germogli di una ricerca che si svilupperà ben oltre i confini tradizionali. Questo periodo è il prologo di una carriera che trova una svolta decisiva con gli studi al Conservatorio "G.B. Martini" di Bologna. Sotto la guida di Maurizio Pisati, Testa si avvicina alle tecniche del serialismo integrale, una prassi compositiva che si propone di determinare con rigore matematico ogni parametro musicale. Allo stesso tempo, tuttavia, l’influenza degli studi con Damiano Meacci e Francesco Giomi lo conducono verso l’elettroacustica e l’improvvisazione non idiomatica, ampliando il suo orizzonte sonoro e tecnologico. Il suo interesse per l’hip hop e il free jazz, due mondi musicali apparentemente distanti dalla sua formazione, forse proprio in ragione di questo, arricchiscono ulteriormente il suo linguaggio, che ora si barcamena tra remix culture e improvvisazione radicale. Oggi, Testa si trova a completare il Master di II livello in Arti Performative presso l'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, immerso in un ambiente dove i pensieri di Ivan Macera, Mariella Celia, Pasquale Mari e Marco Martinelli alimentano la sua riflessione estetica.
Il suo percorso formativo, arricchito dallo studio con registi e coreografi come Armando Punzo, Alessandro Sciarroni, Chiara Guidi, Claudia e Romeo Castellucci, affina ulteriormente la sua pratica, integrando pulizia espressiva e profondità emotiva. Un incontro cruciale è però quello con la Biomeccanica Teatrale, attraverso le settimane di studio con Gennadi Nikolaevic Bogdanov all’Istituto Internazionale di Perugia. Questa esperienza introduce Testa a una nuova dimensione dell’azione scenica, in cui lo sviluppo di una sorta di grammatica generativa del movimento diventa strumento di libera espressione. La sua ricerca si spinge a un’armonia tra struttura rigorosa e un atto attoriale che richiede un dono totale: fisico, emotivo e psicologico. Il performer, immerso in una pratica attoriale rigorosa, deve superare i confini del proprio ego, divenendo un medium attraverso cui si manifesta una forza autentica, lontana dalle convenzioni superficiali del reale. In questo senso, la danza Butoh, i cui presupposti Testa intuisce negli incontri con Alessandra Cristiani, Marie-Thérèse Sitzia e Silvia Rampelli, ha un impatto determinante sul suo approccio, che si arricchisce di una pratica in cui il performer deve testare i limiti del proprio corpo e della propria psiche, immergendosi in stati di vulnerabilità e trasformazione. Per Testa, il corpo diventa un campo di battaglia, un luogo in cui l'economia del gesto si confronta con un’intensità interiore che spinge oltre la soglia del dolore e della coscienza ordinaria.
La fondazione di Questo Buio Feroce si pone su una dimensione critica del suo lavoro, come ricerca di un impegno sociale che sia tale in quanto stimolo a una riflessione integrata, integrale e collettiva.
​
​

an.na.re_
an.na.re_ si intuisce come un’ombra che oscilla tra confini geografici ed esistenziali, in una fase di indifferenza gelida e vacua opulenza.
Nato nel 1953 nella sperduta Santa Teresa, an.na.re_ cresce in un contesto dove il provincialismo si distilla in un’essenza corrosiva, in un vuoto temporale, ciclico e stagnante; trova nella filosofia e nella matematica non una ricerca della verità, ma un labirinto mentale che vede ogni idea e formula vacillare, lasciando dietro di sé solo il fragore sordo del fallimento.
La vita di an.na.re_ è una guerra privata, un susseguirsi incessante di conflitti interiori che lo consumano, in cui la sua creatività diventa un atto di resistenza contro una realtà che si ostina a negare senso, intrappolata in una ripetitività assurda. Il suo corpo, piuttosto che essere un luogo di passionalità, diventa il campo di battaglia, segnato da un'ossessiva ricerca di controllo, quasi a voler domare una materia che non può essere domata.
La prima morte di an.na.re_, il 2 ottobre 1968 durante la repressione di Tlatelolco, non è solo la conclusione di una vita biologica, ma il simbolo della dissoluzione di un’intera generazione, un segnale dell’impotenza di fronte a un potere che sembra invincibile solo perché intrinsecamente vuoto. Nei tentativi di an.na.re_ di trovare sostanza nei cicli naturali e nei simboli eterni, emerge la tragica illusione di chi cerca conforto nell’infinito ritorno della vita, senza comprendere che ogni ciclo è anche il seme della propria dissoluzione.
Tuttavia, an.na.re_ continua a vivere, se così si può dire, nella decadente Los Empalados, dove conosce Georges Limbour, che diventa il suo specchio critico, riflettendo la crescente insoddisfazione di an.na.re_, una crisi che rispecchia un’epica in cui l’autorità, onnipresente, si rivela essere un guscio vuoto.
La seconda morte di an.na.re_ si consuma durante il maccartismo. L’esperienza della sedia elettrica è certo traumatica, ma in quanto simbolo di una certa idea giustizia, divorata dalla paranoia. an.na.re_ allora si convince a cercare nuove prospettive, in Europa. Eppure anche l’Europa, con tutte le sue storie da raccontare, e da portare a pretesto della sua stessa esistenza, si rivela un abbaglio. Parigi, nel 1871, non è altro che un palcoscenico di tragedie. Qui c’è l’incontro con Marcelle Cahn, e in questo, che più che "incontro" i due definiscono, nella banalità che è degli amanti, “destino”, riconosce un’anima alla ricerca di un coronamento sempre sfuggente. an.na.re_ attraversa i luoghi della Comune, e lì, tra le barricate, conosce Charles, uomo consumato dal suo stesso risentimento, soldato senza causa, che gli permette, e in un certo senso gli impone, di confrontarsi con la propria brutalità. E d’altra parte, an.na.re_ ricorderà sempre il suo primo ascolto di "Goodbye Pork Pie Hat" come un’epifania. Un’epifania che non può fare altro che rivelare sé stessa, perché se è vero la rivoluzione divora i suoi figli, an.na.re_ non fa eccezione. La sua terza morte, durante la repressione delle forze comunarde, non porta né sollievo né risoluzione, ma solo la conferma di una crisi senza sbocco.
La fondazione di Questo Buio Feroce non è che l’ultima manifestazione di quella tensione che ancora oggi muove an.na.re_ tra le sue dissoluzioni e fioriture.
​
​
