top of page

3
Vuoto Pneumatico

Un piccolo selvaggio senza futuro lasciò il suo villaggio e partì per l’impresa insieme a una bestia pesante. Viaggiò senza meta, rischiò di perdersi, ma un bufalo.

Una scelta, è banale, se scelta riguarda una sospensione illusoria ma continuamente autori-generata, il presente; meno, meno banale, se scelta riguarda un atto poetico proiettato nel futuro. È, credo, tutto qui.


Ho sempre concepito il pensare come un meccanismo di auto-destabilizzazione e auto-problematizzazione permanente: pen-sare è sempre pensare contro sé stessi, è un esercizio in cui attentiamo continuamente al pensiero stabilito in precedenza. (Blanco 2019, p. 7)

Se non fosse che uno scollamento del mio pensiero non può non mettere in discussione la mia libertà, in luce tutta l’oscurità del suo carattere indicale.

Come scienza sociale, la linguistica dovrebbe, in modo prioritario, studiare lo statuto della lingua nella società, il suo ruolo nella lotta delle classi, le sue determinazioni ideologiche. (Calvet 1978, p. 73)

Scelta come falda del pensiero, dal momento che: scelta come frutto del linguaggio. E io, analfabeta, stupido, distratto, di fronte a un terreno molle come questo non posso che proseguire.

Tutto il progetto di Barthes si basa proprio su questa coesistenza dell’esplicito e dell’implicito, del denotato e del connotato, nello stesso punto di un processo di comunicazione-significazione. (Ivi, p. 75)

Eccesso è una parola che racconta un certo tipo di verità, dopo esserci intesi sul vero. Perché sembra mancare di fase positiva, perché il suo movimento di sfaldamento lascia emergere, nei fatti, un certo tipo di verità, per quanto interstiziale. Esagerazione, parola che ho appena scoperto di apprezzare, in virtù della sua ipocrisia. Chissà,

forse la giovinezza è questo perenne amare, amare, amare i sensi e non pentirsene. (Delbono, 2006)

Chissà, forse la giovinezza è questo non voler fare i conti con un desiderio di giovinezza che mi possa portare fino ai confini della morte. Giovinezza, chissà. Come mancanza, per nascita e appartenenza, di coerenze interne, o come ritorno a una scrittura chiacchierata e contraddittoria. Perché figlia dell’oralità, la mia è lingua povera e luminosa. Siamo i primi, nei fatti, qui, sono i primi passi stentati ed è tutto da inventare.

Ora, ci sarebbe da comprendere lungo quale orizzonte la nostra Sovrana, ancora e per sempre bambina, sia, sia stata, non potrà che essere: Amore. Ora, ci sarebbe da comprendere come non perdere la ragione in questo luogo, assenza di orizzonti, prospettiva a incalcolate dimensioni. Da comprendere, infine, la possibilità di un pensiero insorto in luogo della sua ipotetica estensione temporale, in luogo di imposizioni e orientamenti forzati da un indugio, e forzature troppo spesso poggiate sulla violenza di frivolezze e conformismi. Insorgenza, però, non tanto rivolta allo stereotipo in sé, quanto alla sua contingenza che mira alla surrogazione di modelli per loro stessa natura antidemocratici, con altri forse basati su presupposti diversi, eppure così saturi di ipocrisia. Nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche – si disse allora una bestia pesante, mentre si preparava per il suo viaggio: l’ombra di una giumenta come centro propulsore di aggressività sistematica, ovvero: il corpo della giumenta come centro propulsore del conflitto, di fronte al corpo del castrone come centro propulsore dell’aggressività.


Anche le rivolte primitive esprimevano già un certo risveglio di coscienza: gli operai perdevano la loro fede secolare nella solidità assoluta del regime che li schiacciava; cominciavano […] non dirò a comprendere, ma a sentire la necessità di una resistenza collettiva e rompevano risolutamente con la sottomissione servile all’autorità. E tuttavia questa era ben più una manifestazione di disperazione e di vendetta che una lotta. (Lenin 1965, p. 105)

si disse una bestia pesante mentre, come in una compressione dei gas che aderivano al suo mantello la cui utilità rimane dubbia per chi non ne padroneggi il lessico adeguato, si strigliava con una brusca. Insorgenza in luogo del senso comune, da parte di un corpo mutevole e disciplinato al passo di marcia, che però non intende distanziarsi dai sensi comuni di socializzazione del disagio, cioè delle forme di controllo delle coscienze. È poco criticabile, in sé, il fatto che il suo antagonismo si ponga come monolitico, nell’esporsi. Con il pretesto del possesso di una serie di strumenti specialistici che, appannaggio di certe geometrie del pensiero, altro non sono che il modo di darsi di alcuni corpi ben educati e – il ché sembra grave, ma è solo una nozione empirica – per loro natura educanti. Questo da una parte. Poi c’è un’occorrenza forse più docile e modesta, di chi simula disinteresse per dissimulare il proprio disprezzo nei confronti di una chiacchiera che si ciancia addosso conflitti.

Vedete ora che cosa propone Nadezdin di “più concreto” per raccogliere ed organizzare “molto più facilmente” il popolo: 1. giornali  locali; 2. preparazione di manifestazioni; 3. lavoro fra i disoccupati. Ci si accorge subito che tutto ciò è scritto a caso, come vien viene, solo per dire qualche cosa, perché da qualunque parte lo si consideri, sarebbe assurdo volervi trovare qualcosa di particolarmente adatto per “raccogliere” e per “organizzare”. E lo stesso Nadezdin, due pagine dopo, scrive: “Sarebbe tempo di constatare questo fatto: in provincia il lavoro è infimo, i comitati non fanno la decima parte di quanto potrebbero fare […]. I centri di unificazione che esistono oggi sono fittizi, sono burocrazia rivoluzionaria, organismi in cui ci si promuove scambievolmente a ‘generale’, e ciò avverrà fino a quando non avremo delle forti organizzazioni locali”. Queste parole, a parte la loro esagerazione, contengono indubbiamente una gran parte di triste verità; ma come mai Nadezdin non vede il nesso fra l’infimo lavoro locale e la ristrettezza d’orizzonte dei militanti, l’angustia del campo d’azioni della loro attività, difetti inevitabili data la mancanza di preparazione dei militanti che si rinchiudono nel quadro delle organizzazioni locali? Come ha potuto dimenticare […] che gli inizi di una vasta stampa locale sono stati accompagnati da un aumento particolare dell’economicismo e del “primitivismo”? (Ivi, pp. 218-219)

Per quanto gravide di quell’ozio antidemocratico volto all’indottrinamento di menti più deboli della propria, e per quanto indirizzate principalmente al contesto di quelle forme che si delineano come la forzatura di un indugio, le forze controrivoluzionarie investono anche le nuove lessicografie che si pretendono fuori dalla chiacchiera del senso comune. Sia la sua giovinezza a salvarci.

​

Bibliografia

Blanco, Sergio, Autofinzione. L'ingegneria dell'io, Cue Press, Imola 2019

Calvet, Louis Jean, Roland Barthes. Uno sguardo politico sul segno, Dedalo, Bari 1978.

Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, Torino 1965.

​

Teatrografia

Delbono, Pippo, Questo Buio Feroce, Compagnia Pippo Delbono 2006

bottom of page